Pintér, la pittura grafica - 2005

Picture-Taker-ct0ogp1960, due pagine pubblicitarie per Mondadori

Un saggio di Santo Alligo, dal secondo volume diPittori di Carta
C’è un’artista che per più di quarant’anni è entrato (e ancora entra), con discrezione e autorevolezza, nelle case di milioni di italiani. Con discrezione perché i suoi lavori erano riprodotti sulle copertine di libri stampati in migliaia di copie; con autorevolezza perché le sue copertine si imponevano al lettore per l’efficacia della sintesi, per la suggestione evocativa dell’immagine, per l’assoluta padronanza pittorica, per l’equilibrato dosaggio del lettering. Così, mentre il suo nome rimane, ancor oggi, quasi sconosciuto (salvo agli addetti ai lavori e ai moltissimi estimatori), conosciute da tutti sono, invece, le sue copertine. Parlo di uno dei più grandi illustratori - non solo italiani - della seconda metà del Novecento: parlo di Ferenc Pintér, che, come si vedrà, del tutto italiano non è. Un “pittore di carta” che ha avuto, dopo infiniti articoli, mostre e riconoscimenti internazionali, la sua prima e unica monografia (che molti attendevano da Mondadori, l’editore che più di tutti ha beneficiato della sua opera), pubblicata da Segni & Disegni, un piccolo editore specializzato di Torino.
C’è un’artista che per più di quarant’anni è entrato (e ancora entra), con discrezione e autorevolezza, nelle case di milioni di italiani. Con discrezione perché i suoi lavori erano riprodotti sulle copertine di libri stampati in migliaia di copie; con autorevolezza perché le sue copertine si imponevano al lettore per l’efficacia della sintesi, per la suggestione evocativa dell’immagine, per l’assoluta padronanza pittorica, per l’equilibrato dosaggio del lettering. Così, mentre il suo nome rimane, ancor oggi, quasi sconosciuto (salvo agli addetti ai lavori e ai moltissimi estimatori), conosciute da tutti sono, invece, le sue copertine. Parlo di uno dei più grandi illustratori - non solo italiani - della seconda metà del Novecento: parlo di Ferenc Pintér, che, come si vedrà, del tutto italiano non è. Un “pittore di carta” che ha avuto, dopo infiniti articoli, mostre e riconoscimenti internazionali, la sua prima e unica monografia (che molti attendevano da Mondadori, l’editore che più di tutti ha beneficiato della sua opera), pubblicata da Segni & Disegni, un piccolo editore specializzato di Torino.

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Picture-Taker-H03jbrPicture-Taker-XCuqOM 1967-1969, serie di copertine per i romanzi di Cesare Pavese in Oscar Mondadori: “La Luna e i falò”, “Prima che il gallo canti”, “Il compagno”, “La Bella Estate”
Ferenc (Franco) Pintér nasce ad Alassio nel 1931, da József, pittore ungherese itinerante, e da Anna Antonazzi, fiorentina. Nel 1940, per sottoporsi a un’operazione chirurgica, Jozsef fa ritorno in Ungheria, seguito, dopo pochi mesi dalla moglie che porta con sé Ferenc e la sorella: si stabiliscono a Ujpest, alla periferia di Budapest, dove il giovane Pintér frequenta la scuola media italiana della capitale. Un anno dopo, i venti di guerra raggiungono l’Ungheria; per sottrarsi ai bombardamenti alleati, la famiglia Pintér si trasferisce nella vicina campagna, dove Ferenc impara l’ungherese così da poter continuare gli studi nelle scuole statali. Nel 1945, all’occupazione nazista si sostituisce il tallone di ferro dei liberatori sovietici.
Nel primo dopoguerra Pintér inizia, su consiglio del padre, a disegnare dal vero: album e album di schizzi a matita si vanno riempendo di animali da cortile, sia fermi che in movimento, ma anche di semplici oggetti, come un martello, di cui deve imitare la lucentezza del metallo e la venatura del legno del manico, oppure di una palla, di cui deve simulare la rotondità, fino alle erbe dei campi e agli alberi. Questo continuo esercitarsi non salva però l’allievo da una misera sufficienza in disegno. Il padre, che conosce le capacità di Ferenc, chiede spiegazioni ai professori, scoprendo che la sufficienza è dovuta al ridotto numero di lavori presentati dal figlio. Il motivo? Pintér ha fatto i disegni per tutti i compagni della classe.
Il corso di pittura murale decorativa del liceo delle arti applicate di Budapest, dove Pintér si iscrive nel 1947, lo prepara al mestiere di decoratore. Al disegno di grosse strutture geometriche e di elementi architettonici (solo a matita nel primo anno), realizzati con incredibili effetti di trompe-l’oeil, segue quello dei calchi in gesso di sculture classiche e, infine (quando è concesso l’uso del carboncino), del nudo.
La prima esposizione del manifesto ungherese del dopoguerra nel 1948, è, per Pintér, una rivelazione: di colpo, i collaudati e vecchi metodi accademici gli paiono superati, e arrivare alla fine del corso un’inutile perdita di tempo. L’esposizione del 1948 fu l’ultima che permise di vedere un linguaggio grafico, moderno e affascinante, prima che lo stalinismo livellasse tutto nel socialismo reale. I nomi di György Konecsni, Gábor Papp e Zoltán Tamássi divennero per Pintér un punto di riferimento fondamentale. «C’è da immaginarsi cosa significasse per i grafici che sapevano coniugare rigore stilistico, stilizzazione e senso decorativo con la grande sapienza del disegno, sforzarsi di imitare l’oleografia sovietica», dirà molti anni dopo Pintér.
Pochi mesi prima della sua morte, un editore commissiona al padre di Pintér la copertina di un libro di poesie di Sándor Petöfi, ma József, poco aduso a prestazioni editoriali, la “passa” a Ferenc; diviene il primo lavoro di Pintér a essere pubblicato, e sarà lui, dopo la morte del padre, a provvedere al mantenimento dei familiari, dipingendo locandine per parrucchieri, tabaccai e piccoli artigiani, obbligati a esporre cartelli di carattere propagandistico e ideologico per glorificare i piani triennali e per gli anniversari del regime.
Riflettendo sulla mostra del manifesto ungherese e sfogliando la Gebrauchsgraphik della biblioteca della scuola, Pintér prende coscienza delle sue “misere” capacità, finché, entrato in un’atelier statale, ha occasione di lavorare sulle grandi superfici (dove ogni più piccolo particolare deve essere preciso anche visto da vicino) dei padiglioni delle fiere ungheresi. Cerca di iscriversi all’accademia di belle arti dove insegna Konecsni, ma l’esame di ammissione, dove incautamente si presenta con pantaloni di velluto a coste e scarpe con suole di para, si rivela un interrogatorio a porte chiuse del commissario politico: è respinto, anche se dichiara che La corazzata Potëmkin gli è piaciuta moltissimo.
Picture-Taker-oxwxEm 2001, Illustrazione per Macbeth, Nuages
Parte per il servizio militare di due anni: negli ultimi sei mesi è chiamato come grafico in un’atelier dell’esercito a Budapest.
Tamássi, uno dei grandi protagonisti della grafica ungherese, sorpreso e impressionato dai lavori che il giovane Ferenc andava realizzando, lo presenta prima ad un’agenzia pubblicitaria e in seguito all’amico Konecsni. Padre del nuovo manifesto ungherese, Konecsni rinnova il rigoroso linguaggio del Bauhaus, ormai stanco e ripetitivo, introducendovi una nota lirica. Pintér è talmente affascinato dal grande maestro che con ingenuità giovanile ne vuole seguire le orme, ragion per cui, alla mostra del poster ungherese del 1956, presenta sei manifesti, esposti in seguito anche a Varsavia e a Mosca e presentati su Graphis tanto quanto su Gebrauchsgraphik. «Non si vedono in giro opere dall’effetto così monumentale» commenta éva Bartha su un numero di Arte libera - Rivista della federazione delle belle arti e dell’arte applicata pubblicata lo stesso anno, quel fatidico 1956 che registra anche l’unica decisione drastica presa da Pintér: il 23 novembre, a seguito del secondo intervento corazzato sovietico per schiacciare definitivamente con la forza la rivoluzione ungherese, passa clandestinamente il confine con l’Austria, raggiungendo la madre, ospite della sorella a Firenze.
1969. illustrazione per "Michele Strogoff", Mondadori, china su carta
Nel capoluogo toscano si guadagna da vivere realizzando pannelli figurativi per i negozi del centro - alcuni rimarranno appesi per dieci anni! -, prima che l’architetto Spadolini (fratello di Giovanni), che nota i suoi lavori, lo conduca con sè a Milano nel 1957. Pintér ha così l’opportunità di realizzare, da solo e in un solo mese, un pannello circolare di ottanta metri quadrati per la Radiomarelli, destinato alla fiera di Milano (l’anno seguente dipinge quello per l’Ente Tabacchi), dove compiutamente si definisce il suo stile.
Ma è solo nel 1960 che avviene un fatto destinato a dare una svolta alla carriera e alla vita di Pintér. Grazie ad un’amica è presentato alla Mondadori per una eventuale collaborazione: Anita Klinz - per cui Pinter nutrirà una viva riconoscenza -, grande direttore artistico della casa editrice (allora nella bella sede di via Bianca di Savoia), comprende subito le straordinarie qualità di Pintér e lo fa assumere, ma non come copertinista. Il suo primo incarico consiste nel realizzare avvisi pubblicitari per la collana dei “Gialli Mondadori” e degli “Urania”, eseguiti in economia di mezzi con un magistrale controllo della linea nera, ora a larghe pennellate ora con un segno che può sembrare tracciato dal pennino.
Picture-Taker-gdFJBO 1960, illustrazione per “Tre anni” di A. Cechov, tempera
Gli vengono affidate anche le illustrazioni di due libri strenna per gli abbonati alle riviste Mondadori. Il primo, Tre anni di Anton Cˇechov, un agile volumetto con otto illustrazioni a colori, rivela un luminoso colorista e un accorto sceneggiatore; il secondo è Michele Strogoff di Jules Verne, dalla indovinata illustrazione a colori di copertina e dai disegni interni finemente lavorati con inchiostro di china, ora a punta di pennello, ora a macchie nere.
Su impostazione grafica della Klinz disegna le sopraccoperte degli “Omnibus”, contraddistinte da una lunga fascia che corre anche sul retro, con una figura che ne fuoriesce scontornata, soluzione estranea ai gusti di Pintér, ma a cui questi dà, sempre e comunque, interessanti soluzioni pittoriche. è incaricato di disegnare le copertine della prima serie di Maigret, che hanno una gabbia fissa occupata sempre dalla figura di Maigret/Gino Cervi in piano americano e da un piccolo elemento figurativo, annegati in accesi fondi a colori primari. A questa prima serie, dove Pintér sfrutta anche la porosità del cartoncino per “rendere” il tessuto delle giacche del commissario, ne seguirà una seconda, quella degli “Oscar”, più libera e articolata, apprezzata dallo stesso Georges Simenon.
Picture-Taker-GDKuX6 1969, Copertina per “Maigret e il viaggiatore di terza classe
In oltre settanta copertine si dispiega tutto il magistero dell’artista ungherese, che a Maigret, come agli “Omnibus Gialli”, è particolarmente legato. Il modello del commissario di questa nuova serie è ancora Gino Cervi (Simenon diceva che Cervi era stato, insieme a Jean Gabin, il miglior Maigret), e non poteva essere altrimenti. Ogni copertina di Maigret sorprende per l’idea, per il taglio grafico e per la realizzazione tecnica, che alterna le tempere al pennino, le fotografie acidate e poi dipinte, fino al pennarello la cui stesura non uniforme dà modo a Pintér di sperimentare innovative soluzioni formali. Pintér coglie con acutezza le atmosfere e i luoghi descritti nei romanzi, ma non solo: porta in copertina anche le abitudini più intime del commissario, tanto da farci intuire, vedendolo a capo chino e di spalle, nello specchio sopra il lavandino (Maigret e l’affittacamere) che sta urinando: un’introduzione figurata che non deluderà mai il lettore. In Maigret e la ballerina del Gai Moulin le braccia aperte della ballerina dividono lo spazio nella sezione aurea: in alto, il fondo scuro annega la figura di Maigret (accennata con pochi tocchi di colore) e rileva la testa della danzatrice, il cui corpo si percepisce solo attraverso l’ombelico, il reggiseno e le mutandine nere, dipinte su una superficie appena sporcata di colore. Settanta copertine! Non si può raccontarle tutte. Mai un cedimento, mai una ripetizione, mai una banalità; una lunga convivenza che porterà Pintér ad essere una sorta di alter ego figurativo di Simenon. Dopo il successo delle prime copertine, Pintér ha la massima libertà, «anche perché in redazione - dice modestamente l’artista ridendo sotto i baffi - si fidavano di Simenon».
Picture-Taker-vicKW0 1967, copertina per Grazia Deledda, “Canne al vento”, Oscar Mondadori, tempera
Ma non sono solo gli “Oscar” maigretiani a dar soddisfazione a Pintér e piacere a chi li acquista. Altre serie fondamentali sono quelle che realizza per i romanzi di Cesare Pavese e di Grazia Deledda. Il compagno, Prima che il gallo canti, La luna e i falò, Paesi tuoi e La bella estate, solo per citarne qualcuna, prima ancora di essere copertine indovinate e affabulatorie, sono brani di grande pittura. L’artista rende qui magistralmente la materia, come gli avevano insegnato il padre prima, la scuola poi: il fasciame di una barca, la paglia di una sedia, un tronco marcito, il manto di un cavallo, la terra arata i cui solchi sono “resi” raschiando con una lametta la spessa tempera non ancora asciutta. Così come Pintér dipinge, come se lo conoscesse profondamente, il mondo contadino di Pavese, così “ferma” il mondo rurale sardo della Deledda in altrettante memorabili copertine: La madre, Cenere (una croce, netta su fondo bianco, è formata dalla salma e dalle due figure in preghiera), Canne al vento, Elias Portolu. La stanza dove appare il protagonista di quest’ultimo romanzo, con la coppola calata sugli occhi e la sigaretta in mano, è arredata da un vecchio cassettone annerito dal fumo, sormontato da uno specchio inclinato in avanti, da una bacinella e da una brocca di latta smaltata di bianco, con i bordi filettati di blu: mobili e oggetti “poveri” esaltati dal pennello di Pintér, che con piccole, abilissime sfumature ne restituisce magistralmente, e quasi fotograficamente, le forme.
Picture-Taker-KbNdCU 1976, copertina per Mario Soldati “Lo Smeraldo”
Altre copertine possono veicolare inaspettate esperienze visive, come quella con un solo segno, evocativo e stimolante, per l’opera di Mario Soldati Lo smeraldo, o ispirarsi alla pittura di Felice Casorati con la bellissima copertina di Nessuno torna indietro, ambientato nella Torino degli anni Trenta, o ancora, facendo suo lo stile della grande pittura giapponese, per il romanzo di Yasunari Kawabata Il paese delle nevi. Più di mille “Oscar”: una galleria di immagini indimenticabili, una vera e propria originale “pinacoteca” custodita in milioni di librerie domestiche.
Nel 1963, a Verona, nella chiesa di san Zeno, davanti alla pala del Mantegna, Pintér sposa Paola Roncato. La vita familiare accanto alla moglie e ai tre figli, Antonio, Claudia e Francesca, scorre tranquilla, confortata anche dalle letture preferite (fin da giovane legge gli autori ungheresi Gyula Krúdy e Sandor Màrai, ma anche Marcel Proust, Thomas Mann, Tomasi di Lampedusa: Il Gattopardo lo stregherà), è scossa solo dall’avviso dell’Esercito Italiano, che lo ritiene renitente alla leva: a quell’epoca Pintér ha quarant’anni!
Picture-Taker-cqj029 Copertina per “L’eccellentissimo Nero Wolfe”, Omnibus Gialli, pennarello su carta
I volumi degli “Omnibus Gialli” prendono l’avvio nel 1969; Pintér dedicherà alla collana un impegno particolare. Obiettivo costante, mai tradito, è la ricerca di un singolo elemento o l’isolamento di un dettaglio (quello più adatto a stimolare l’immaginazione del lettore) che viene dilatato fino ad avere l’impatto di un manifesto. Nasce così la copertina di Hercule Poirot - Piccolo grande uomo con il volto del protagonista in primissimo piano, cui il ridottissimo formato di copertina ne accentua la monumentalità invece di ridurla, o quella di 6 messaggi per Ellery Queen, dove una pallotola passa dalla bocca di uno nell’orecchio dell’altro, plasticamente disegnati da Pintér con un pennarello nero sottilissimo. Citare solo due copertine fa però torto a tutte le altre degli “Omnibus Gialli”: quella con la testa di Poirot che esalta la scriminatura dei capelli, quella del cappello di un mafioso con sigaro, della gamba di una donna in primo piano che segue la suola della scarpa di un uomo che si allontana, o quella con i pantaloni sul pavimento a scacchi per L’eccellentissimo Nero Wolfe. Una collezione imperdibile di tagli grafici a variante pittorica che lascia sbalorditi. Ma non sono solo le copertine a stupire: i risguardi sono talmente forti e originali che fanno concorrenza alle stesse copertine, tanto che l’artista dovrà trovare soluzioni sperimentali per non metterle in concorrenza tra loro.
Picture-Taker-cFtU2A 1973, illustrazione per la rivista “Duepiù”, tempera
La collaborazione alla rivista Duepiù per cui realizza tavole a forte tasso pittorico (l’illustrazione per il racconto di Italo Calvino L’avventura di una bagnante non teme confronto con i dipinti degli artisti figurativi), gli permette ancora di indagare prepotentemente, nelle doppie pagine dei segni zodiacali, altri aspetti della sua personalità grafica e pittorica.
Negli anni settanta Pintér lascia il segno nei volumi “La geografia di Biagi”, con illustrazioni in bianco e nero graficamente esemplari, risolte con pennellate nervose di estrema severità. Nella collana “Tantibambini”, diretta da Bruno Munari, pubblica Le tre stanze (Einaudi, 1977): utilizzando carta fotografica lucida, Pintér ottiene effetti dove la libertà delle grandi pennellate a macchia è controbilanciata da un moderato utilizzo del filetto nero a definire una porta, un viso, un cassetto, un angolo di stanza.
Nell’illustrare i testi sacri della Bibbia, di Gesù e di San Francesco, Pintér riduce al minimo la scenografia, puntando molto sui protagonisti delle vicende; un’evidenza particolare avranno alcuni oggetti di uso quotidiano, come la brocca di terraglia, dipinta da sembrare vera argilla, in primo piano nell’Ultima Cena in Gesù.
Picture-Taker-uHvH7Q 1987, Illustrazione per il libro di Piero Chiara “Pierino al mercato di Luino”, tempera
Nel 1980 Pintér realizza Cuba 1898: il destino manifesto, pubblicato da Quadragono Libri (editore Mario Vigiak) per la collana “I Papermint” di avvincente aspetto grafico dovuto a John Alcorn. In una delle illustrazioni dipinte a tempera su cartone telato, indagando in un grumo di colore scuro, si potranno distinguere i volti di tutti gli schiavi. I libri delle Avventure di Pierino, di Piero Chiara, hanno una prima edizione contraddistinta da disegni eseguiti con la brunolina su carta fotografica (meno spettacolare della seconda ma con più pregevoli soluzioni grafiche) e una seconda con tempere a colori, tutte due indagate da Pintér con una particolare attenzione al vissuto quotidiano del tempo. L’uomo senza ombra di Adalbert von Chamisso, pubblicato nel 2000 da Cartacanta, è arricchito da diciotto illustrazioni seppiate a suggerire l’epoca della vicenda, con un segno volutamente accennato ma superbamente evocativo. Non così il Macbeth shakespeariano (Nuages, 2001), dalle atmosfere cupe e drammatiche, vivificate da soluzioni figurative geniali, come quella dei tre cortigiani che sembrano avere pugnali nei loro sorrisi. Una delle ultime collane per cui impegna il suo talento è quella dei “Saggi Mondadori”: piccole vignette risolte con pochissimi segni che sorprendono per l’efficacia della sintesi. Risale al 1991 l’esperienza dei ventidue Arcani Maggiori dei tarocchi (millecinquecento esemplari) fortemente voluta dalle Edizioni d’Arte Lo Scarabeo di Torino.
Picture-Taker-qz2v58 1982, “L’Ultima Cena” illustrazione per il volume “Gesù” Mondadori, tempera su cartoncino alluminio
Picture-Taker-SQcawS 1981, illustrazione per il volume “I Fioretti di San Francesco”, tempera su cartoncino alluminio

L’assegnazione di numerosi premi nazionali e internazionali e l’allestimento di mostre delle sue opere costellano la carriera professionale di Pintér, riconosciuto in tutto il mondo come uno degli illustratori più significativi della sua epoca. Realizza il calendario dei carabinieri per il 2001 e due suggestivi libri per l’Esercito italiano: L’Intelligence nella letteratura, dove dà corpo ad alcuni capitoli tratti dai romanzi di Poe, Dostoevskij, Stevenson, Salgari, Conrad, Green, Fleming e tanti altri.
Ai manifesti commerciali (quelli realizzati negli anni Sessanta per la fabbrica di abbigliamento maschile Facis sono esemplari per freschezza e incisività), che tornano periodicamente ad affiancare l’attività editoriale, si aggiungono, negli anni Ottanta, i manifesti politici a favore della pace, di Solidarnocˇsˇ, del dissenso sovietico e contro l’occupazione dell’Afghanistan e la repressione psichiatrica in URSS - alcuni di questi furono esposti a Washington (e conservati alla Library of Congress), a Copenhagen, a Monaco e a Budapest -; un impegno civile molto sentito da Pintér, che lo porterà a creare impressionanti manifesti, dove regolerà i conti con i regimi comunisti, usando con proprietà il loro linguaggio grafico per affermare l’esatto contrario. A quelli politici alterna i manifesti per il teatro Eliseo di Roma, ricchi di spunti surreali e di intenso pathos.
Segni & Disegni pubblica, nel 2003, l’unica opera ad esemplari numerati: è la cartella di Pinocchio, in sole novanta copie, numerate e firmate, con otto tavole (ma sono ben quarantotto le illustrazione che Pintér realizza per un’edizione ancora tutta da fare): una carrellata di immagini che si distacca, per originalità, da tutte le altre precedentemente stampate.
Mi sono sempre occupato di illustratori del passato: perché allora l’eccezione per Ferenc Pintér? è presto detto: lo considero uno dei migliori illustratori del mondo, sicuramente uno dei più personali ed eclettici, tanto che il suo contributo alla storia dell’illustrazione può entrare di diritto anche nella storia dell’editoria italiana.
glossarietto