Ferenc Pintér, grafikus

Senza titolo-11973 - Le inchieste del Commissario Maigret

Saggio introduttivo di Bepi Vigna alla monografia “Ferenc Pintér” Pubblicata da Segni e Disegni nel 2005.
Negli ultimi decenni si è verificata una vera e propria rivoluzione: l'iliustrazione e l'Arte si sono finalmente incontrate e fuse ed è stata fatta piazza pulita di quella vecchia concezione che per troppo tempo aveva relegato tutta la grafica applicata nel limbo delle manifestazioni al limite dell'artistico, considerando le sue varie espressioni qualcosa di secondario rispetto ad altre arti ritenute più nobili. Un' immagine "carina", la "bella figura", che un tempo dominavano nella stampa periodica, nella pubblicità e nell'illustrazione della letteratura per l'infanzia, hanno lasciato posto a una concezione visiva completamente nuova e sono saltati dei tutto quei criteri che, nel valutare l'arte figurativa, facevano riferimento a concetti come l'unicità dell'opera o l'intento, da parte dell'artista, di ricercare uno scopo puramente estetico. Finalmente si è affermata l'idea secondo cui quello che conta essenzialmente è ciò che l'opera riesce a comunicare, attivando quei meccanismi deii'anima che generano le emozioni. Nella società industriale, dominata dall'immagine riprodotta, ci si è finalmente accorti che l'illustrazione (ovvero l'immagine "che racconta") ha assunto da tempo un ruolo centrale nella produzione culturale. E allora è arrivato il momento di dare a Pintér quei che è di Pintér, riconoscergli, anche al di là della cerchia pur vastissima degli addetti ai lavori e degli appassionati che hanno sempre amato il suo lavoro, quei riconoscimento di artista tra i più significativi della nostra epoca. Ferenc Pintér, infatti, è probabilmente il più importante iliustratore contemporaneo. Le sue immagini, si connotano per un impatto e un vigore che derivano direttamente dal sapiente utilizzo delle forme e dei codici della grafica; in esse si percepisce i'istinto, proprio dei grafico, teso a dare un senso alla forma, a semplificare e chiarire i'oggetto della propria interpretazione visiva. Il suo modo di concepire l'illustrazione discende dal concetto di efficienza, di cui è figlia tutta l'arte grafica, ma il risuitato visivo si arricchisce inevitabilmente di una capacità evocativa che permette di ammaìiare chiunque si rapporti con l'immagine, consentendogli di scorgere, seppure attraverso la sintesi di un frammento iconico, un intero universo di stati d'animo e di emozioni.
21960 - Illustrazione per Michele Strogoff. Le sue illustrazioni (comprese quelle pubblicitarie), propongono una strabiliante varietà di tecniche compositive e di soluzioni espressive, eppure risultano riconoscibili, non solo per lo stile che si esterna nell'utilizzo delle forme e dei colori, ma soprattutto per i'approccio comunicativo dell'immagine, per l'impostazione che le rende la effettiva visualizzazione di un'idea. Davanti a una qualunque opera di Pintér si riesce quindi a cogliere sempre la forza specifica dell'illustrazione, quale mezzo comunicativo che permette di esprime- re con forza e chiarezza, idee che non potrebbero essere rese attraverso alcun altro codice. Ernst H. Gombrich ha scritto che "la storia degli artisti può essere soltanto raccontata quando si sia chiarito, dopo un certo lasso di tempo, l'influenza che le loro opere hanno avuto sulle altre, e quali contributi abbiano offerto alla storia dell'arte come tale. Per quanto riguarda Pintér, il lasso di tempo che si può prendere in considerazione può apparire molto breve: le sue prime opere risalgono alla fine degli anni Quaranta () e la produzione dell'artista continua tuttora, seppure non più con la regolarità dei periodo in cui lavorava per la Mondadori. Tuttavia, nel complesso della sua attività, si possono individuare senza troppo sforzo i riflessi delle variazioni e degli umori della cultura europea negli ultimi cinquant'anni. Più facile ancora scorgere le influenze di Pintér sulle opere di diversi illustratori, grafici e disegnatori di fumetti che si sono affermati a partire dai primi anni Settanta, soprattutto in Italia, e che, in molti casi, hanno assimilato la sua lezione principalmente attraverso le copertine degli Oscar Mondadori, la collana di romanzi in edizione tascabile più popolare e diffusa nel nostro Paese. Chi, negli ultimi trent'anni, ha preso in mano un libro di George Simenon o di Agatha Christie, di Cesare Pavese o di Grazia Deledda, di john Steinbeck o di Ernest Hemingway (o di Ken Follet, o di lsaac Singer, o di jack Kerouac) con ogni probabilità si è imbattuto in un'immagine creata da Ferenc Pintér, assimilandone quasi inconsciamente la grammatica interiore e fruendone come una sorta di lasciapassare poetico per accedere all'universo letterario racchiuso nelle pagine interne. Si consideri per esempio, una copertina degli Omnibus Gialli, dedicata ai personaggi dello scrittore Rex Stout: nell'ampio mezzo busto di profilo di Nero Wolf, che sottolinea e accentua la fisicità del personaggio, la figura più piccola e agile di Archie Goodwin sbuca dal taschino della giacca, dando immediatezza visiva alla relazione tra i due protagonisti e sancendo l'inscindibilità dei loro rapporto quasi simbiotico. Per la copertina di Feria d'agosto di Cesare Pavese, vengono recuperati differenti codici figurativi: in primo luogo quelli dei verismo italiano dell'Ottocento, con la scelta della tematica agreste, che però viene reinterpretata attraverso un montaggio che si rifà fortemente all'arte dell'afiche, esasperando i particolari dei cavalli in -primo piano e utilizzando sia la testa dei cavaliere che sbuca in alto, sia i tralicci e i fili elettrici che si intravedono in basso, come gli apici della raffigurazione. E l'immagine nel suo complesso rimanda alla tematica dei contrasto tra il mondo contadino e quello urbano, che è propria dei romanzo. In alcuni casi l'illustrazione si connota più propriamente di valenze simboliche, e in altri casi diventa sintesi estrema, come nella copertina de Il braccio violento della legge (con la cornice infranta dal proiettile) o in quelle delle opere di Fromm, o nelle illustrazioni realizzate per "Duepiù". Di padre ungherese e madre fiorentina, Ferenc Pintér è nato per caso ad Alassio, nel 1931. ] suoi genitori forse si trovavano nella riviera ligúre in vacanza, o forse vi si erano recati perché il padre jòzsef, che era un pittore dallo spirito bohemienne, soleva lavorare come ritrattista nelle hall degli alberghi. Dopo un'infanzia trascorsa a Firenze, dove frequentò le scuole elementari, dall'età di nove anni Ferenc si ritrovò a vivere in Ungheria, dove la famiglia si era stabilita provvisoriamente, perché il padre aveva necessità di sottoporsi a delle cure mediche. Era il dicembre dei 1940 e lo scoppio della guerra costrinse i Pintér a rimanere nell'est. Ferenc frequentdò dapprima le scuole italiane di Budapest, poi, quando la famiglia si trasferi in una casa di campagna, iniziò a studiare nelle scuole ungheresi, impadronendosi della lingua di quel paese. Nel 1947 si iscrisse al liceo di Belle Arti di Budapest, dove si tenevano corsi di pittura ornamentale, un tempo applicata nella decorazione degli interni dei palazzi e delle chiese. Si trattava di raffigurare, cornicioni, quadrilabi, capitelli, imitando le venature dei marmi e dei legni ed ottenendo l'effetto tridimensionale attraverso "ombre calde" e "ombre fredde". Le lezioni riguardavano soprattutto il disegno dal vero, cominciando dai volumi geometrici per passare poi alla riproduzione sul foglio di particolari delle sculture classiche e rinascimentali, mente il lavoro pratico si svolgeva sulle scale, muovendosi come degli imbianchini. Ma la sera, dopo le lezioni, Ferenc frequentava i corsi liberi di nudo, dove si respirava un'aria meno accademica e si aveva l'impressione di essere più a contatto con l'arte. Una visita con la scuola alla mostra dei manifesto ungherese fece nascere nel giovane Pintér la passione per la grafica pubblicitaria, che individuò già da allora come l'espressione più congeniale alla sua indole. Partecipò anche a qualche concorso per la realizzazione di manifesti, indetto dal suo Liceo in occasione di feste nazionali socialiste, ottenendo però solo qualche apprezzamento e niente più, dato che i vincitori provenivano quasi sempre dai corsi di grafica. A diciotto anni venne incaricato di dipingere una grande composizione decorativa su una delle pareti della scuola e realizzò le immagini stilizzate di un contadino e di un operaio; come lavoro d'esame, invece, dipinse la volta di un corridoio, decorandola con elementi gotici. Un professore dell'Accademia di Belle Arti, in visita occasionale alla scuola, vide le due opere e invitò Pintér a lasciare il liceo per iscriversi aii'Accademia, dove era stata già istituita una cattedra di grafica applicata il cui titolare era Gyórgy Konecsni. Nell'Ungheria di quegli anni non era facile farsi strada affidandosi solo al proprio talento. Bastava vestire in un dato modo, avere certe frequentazioni, o provenire da un ambiente familiare e culturale più aperto all'occidente, per vedersi sbarrare inesorabilmente la strada. Fu ciò che accadde a Pintér, che per ben due volte si vide rifiutare la domanda di ammissione all'Accademia. Lui ci mise anche dei suo quando, finalmente ammesso all'esame, durante il colloquio non seppe resistere alla tentazione di indicare, tra i film e i libri preferiti, quelli che realmente amava e non soltanto i classici sovietici approvati dalla commissione. La delusione per non essere riuscito a entrare nell'Accademia, fu in parte lenita dalla conoscenza con Konecsni, dal quale lo portò Tamássi Zoltán, un collega più anziano, conosciuto negli anni dei liceo e diventato uno dei maggiori cartellonisti di quel periodo. La morte dei padre, avvenuta nel Natale dei 1948, pose il giovane Pintér di fronte alla necessità di guadagnare qualcosa per venire incontro alle esigenze sue e della famiglia.
31956-1958, bozzetti di manifesti di Tamassi Zoltan: da sinistra a destra: contro gli infortuni dei bambini, per la fiera statale, contro la guerra, per la compagnia nazionale di viaggio.

Poiché ogni esercizio commerciale era obbligato a esporre pannelli illustrati di carattere politico, egli per qualche tempo realizzò cartelli e decorazioni per vetrine, senza tuttavia mai appiattirsi in un manierismo ripetitivo, ma sforzandosi di dare sempre il meglio di sé, seppure in un ambito che non rappresentava certo il coronamento delle sue aspirazioni. Questa scelta di impegno si rivelò vincente e a, diciannove anni Pintér era già nell'Atelier di Stato, u na cooperativa di grafici impiegata nella realizzazione dei pannelli per le fiere e le esposizioni internazionali a cui presenziava l'Ungheria. Fu in questo periodo che egli prese confidenza con le grandi superfici, disegnando figure alte fino a quattro metri, come quelle realizzate per la Fiera dell'Agricoltura a Budapest. Il linguaggio grafico di Pintér era in linea con quanto esprimeva in quegli stessi anni un artista quale Gyórgy Konecsni, nella cui opera affiorava tutta la complessità dell'ambiente sociale e culturale ungherese e dove gli influssi sovietici si erano fusi con una originaria matrice mitteleuropea. Konecsni - che può essere ritenuto il primo e fondamentale riferimento di Ferenc Pintér, colui che negli anni di formazione ne ha orientato lo stile - aveva preso le distanze dalle influenze dei Bahuaus giunte dall'area germanica, rifiutando l'eccessiva rigidità e il grafismo geometrico di quella scuola, preferendo orientarsi verso un segno morbido, dalle linee leggere, dove le figure si caratterizzavano per una forte piasticità ed evidenziavano apporti di correnti diverse. Nelle sue opere, infatti, coesistono residui simbolisti e surrealisti e componenti che rimandano a influenze cubiste e novecentiste. Questa molteplice fusione di elementi si scorge anche nei lavori più maturi di Pintér, così come una certa ironia che affiora nei montaggi e nella stilizzazione delle figure, o la forza drammatica conferita alle immagini da scelte grafiche molto nette, dal segno tormentato, o dalla forza di alcuni decisi accostamenti cromatici. Per comprendere ciò da cui origina il lirismo di Pintér bisogna dunque considerare attentamente l'opera di Konecsni, anche se rispetto al maestro, l'allievo mostrerà con gli anni una maggior propensione alla stiiizzazione bidimensionale, allontanandosi da quelle volumetrie che appaiono come uno dei segni distintivi della grafica novecentista. Ma per cogliere appieno l'evoluzione deii'artista, non si può trascurare il clima generale che dominava in Ungheria nei primi anni Cinquanta. Rispetto all'italia, dove una cultura grafica specifica faceva fatica ad affermarsi e ad essere riconosciuta, l'Ungheria poteva vantare una valida e precisa tradizione di derivazione francese e tedesca. Tuttavia, negli anni dello stalinismo, ogni espressione artistica finiva per soggiacere ai canoni dei realismo socialista e la grafica risentiva in misura maggiore di questa situazione, proprio perché al diretto servizio della propaganda politica e culturale dei regime. La pubblicità commerciale, resa inutile da un sistema economico che rinnegava il profitto, era praticamente inesistente. Questo non significa, però, che non si producessero opere di rilievo, anzi, al contrario, proprio in quegli anni è dai paesi dell'est europeo che giungono alcune intuizioni e idee grafiche all'avanguardia, forse perché è proprio nei momenti di costrizione che gli artisti sono maggiormente portati a sviluppare delle soluzioni innovative che permettano di aggirare in qualche modo rigidi dettati dei potere. Specie nel manifesto murale, gli artisti ungheresi, polacchi e cecoslovacchi espressero opere di notevole forza, esercitando una non trascurabile influenza sulla grafica occidentale. Per Pintér fu certamente importante l'esempio dell'amico Zoltán, che non aveva una grande preparazione accademica, ma i cui manifesti si distinguevano e risaltavano per la forza dirompente e a volte geniale dell'idea che vi era alla base un po' come accadeva nelle illustrazioni pubblicitarie di Raymond Savignac), tanto che lo stesso Konecsni soleva dire, paragonando i suoi lavori a quelli dei collega: "I miei sono belli, i suoi sono buoni". Volendo individuare gli influssi e le tracce presenti nell'opera di Pintér, non si può trascurare la tradizione francese del manifesto postcubista, e in particolarmente l'opera di Cassandre (al secolo Adoiphe jean-Marie Mouron) probabilmente la figura di maggior spicco nella grafica pubblicitaria dei Novecento. La sua influenza ha permeato in qualche misura tutta l'arte grafica venuta dopo di lui, ma per Pintér l'opera dei maestro francese ha rappresentato quasi un inconscio modello di riferimento per quella sintesi simbolica che affiora in molte illustrazioni. I risultati a cui giunge Pintér sono in realtà molto differenti da quelli di Cassandre, ma in certi casi si coglie come un'identità di intenti. E' come se Pintér avesse assimilato l'idea centrale della grafica dei francese, secondo cui la visibilità dell'immagine viene determinata, prima ancora che dal contrasto di colori, da un preciso rapporto di valori in campo: la figura nel suo complesso diventa il veicolo dei pensiero dell'artista e, attraverso una sintesi armonica, provoca un'emozione in chi la guarda. Nel 1951 Pintér venne chiamato a svolgere il servizio militare e per due anni dovette abbandonare il lavoro. Riprese l'attività nel 1953 (l'anno della morte di Stalin), confrontandosi con l'ambiente piuttosto chiuso che a Budapest dominava nel campo della grafica. I principali incarichi, infatti, venivano assegnati da una giuria permanente, che in pratica aveva creato un circolo esclusivo al quale egli non aveva accesso. Il lavoro gli veniva principalmente dalla Camera di Commercio: illustrazioni per una rivista che reciamizzava i prodotti di esportazione e la realizzazione di grandi composizioni murarie in occasione della Fiera Industriale e Agricola. Nel 1955 partecipò anche alla seconda Mostra dei manifesto ungherese. Con lo scoppio della rivolta dei 1956, insieme all'ebrezza provocata dalla improvvisa ventata di libertà che si tornava a respirare in Ungheria, nacque nell'artista anche la consapevolezza di non essere più in grado di accettare la disillusione di un eventuale ritorno al potere dei comunisti: dopo quei giorni di speranza, infatti, sarebbe stato troppo gravoso riprendere a disegnare operai sorridenti e cimentarsi ancora coi bagaglio di retorica propagandistica di matrice sovietica. Pertanto, Pintér prese la decisione di lasciare il paese e, all'alba dei 24 novembre di quello stesso anno, espatriò attraversando un canale ghiacciato al confine con l'Austria. L' esperienza umana e artistica vissuta neii'era staiiniana lascerà tuttavia una traccia indelebile nel suo lavoro, affiorando particolarmente nei manifesti di carattere politico realizzati negli anni successivi (quelli in appoggio a Solidarnosc e alla dissidenza sovietica), dove traspaiono echi dell'iconografia socialista e anche della grafica costruttivista russa, ma il tutto filtrato da una sensibilità occidentale che finisce per ammantare di tragicità il risultato espressivo e fornisce una chiave di lettura più umana e dolorosa alla ieraticità delle figure. Arrivato in Italia, Pintér si stabilì a Firenze, dove vivevano gli zii, e conobbe l'architetto Spadolini, fratello dei noto uomo politico Repubblicano. Fu proprio lui a procurargli il contatto con la Radio Marelli, per la quale realizzò una decorazione di 80 mq. per il padiglione della Fiera di Milano dei 1957. L' anno dopo dipinse un altro pannello, altrettanto grande, per lo stand dei Monopolio Tabacchi. Per questo tipo di lavori, però, in Italia non c'era molta richiesta, così, all'inizio degli anni Sessanta, Pintér si presentò alla Mondadori e venne assunto al Servizio Grafico Editoriale diretto daanita Klinz. 41957, Fiera di Milano, il padiglione RadioMarelli.
Grazie al lavoro svolto per trentadue anni presso la casa editrice di Segrate, Pintér non ha soltanto contribuito in maniera determinante a rinnovare la grafica editoriale nel nostro paese, ma ha arricchito enormemente il bagaglio visivo dei lettori italiani, favorendo non poco la loro crescita culturale ed estetica. Ogni sua copertina è una sintesi grafica dove non mancano rimandi sempre pertinenti e illuminanti a un particolare clima culturale e artistico: si va dall'arte elienica dell'inedita lliade (1969), alla Pop Art di Maigret a NewYork (1972); dalla citazione di Milton Giaser in Il giustiziere della notte (1975), alla grafica tedesca dei periodo nazista in Ama il prossimo tuo (1968); ma gli esempi, in una produzione tanto imponente, potrebbero essere moltissimi. Non vanno trascurati neppure gli espliciti richiami alle versioni cinematografiche dei romanzi, come accade nelle copertina de I cannoni di Navarone (1970), de Il maestro di Vigevano (1969) e in altre. C'è da dire che un certo dialogismo intertestuale è presente in molte copertine e particolarmente in quelle delle avventure poliziesche di Maigret e di Nero Wolfedove il disegnatore utilizza l'immagine di Cervi e Buazzelli, i popolari attori interpreti degli sceneggiati televisivi della PAI, come un vero e proprio elemento comunicativo, che da un lato crea l'immediato richiamo a un'immagine conosciuta ed amata, ma al contempo ne dà una interpretazione nuova, allargandone i confini oltre quelli già esplorati dallo spettatore televisivo. Così, certe varianti nelle pose e nell'abbigliamento dei personaggi, certe allusioni ironiche, o altre nelle quali si può scorgere una venatura erotica e sensuale, finiscono per costituire la promessa che nel libro vi sia qualcosa di più


delitti corsia 1testa uovo cop Due copertine degli Omnibus Gialli Mondadori.
Tra i lavori per la Mondadori, un posto a parte occupano le sovracopertine realizzate per i volumi della collana Omnibus, nelle quali si può trovare traccia dell'impostazione compositiva dei grandi pannelli decorativi. Si tratta di collages di immagini, a volte accostate seguendo un percorso grafico appena accennato, altre volte in un aperto contrasto di raffigurazioni, che condensano il contenuto dei libro o cercano di suggerirne il clima e l'argomento, ispirandosi ad alcune particolari situazioni narrative.Anche in questi lavori, dunque, emerge quello che appare come l'intento a cui sembra ispirarsi tutta l'attività di Pintér quale copertinista, ovvero la costante ricerca, attraverso l'arte grafica, di esprimere al meglio la tensione emotiva dei testo letterario con cui di volta in volta si trova a cimentarsi. In una produzione sconfinata, dove gli influssi assimilati sono tanti, così come gli espedienti espressivi utilizzati, volendo cercare il marchio distintivo dell'artista, verrebbe da dire che egli è maestro nel rendere semplice la complessità: la sua sensibilità figurativa gli consente di creare immagini che riescono a mettere in rapporto sentimenti opposti; la sua formazione legata alla passione per la cartelionistica, gli permette di fondere abilmente l'elemento illustrativo con quello testuale, a volte con intuizioni geniali sul piano comunicativo; la sua competenza grafica fa sì che nei suoi lavori' i più diversi elementi compositivi si integrino sempre al meglio. Ecco perché Ferenc Pintér è una figura imprescindibile e di primo piano nell'arte grafica della nostra epoca. Bepi Vigna