Ferenc Pintér, grafikus

Saggio introduttivo di Bepi Vigna alla monografia “Ferenc Pintér” Pubblicata da Segni e Disegni nel 2005.


Poiché ogni esercizio commerciale era obbligato a esporre pannelli illustrati di carattere politico, egli per qualche tempo realizzò cartelli e decorazioni per vetrine, senza tuttavia mai appiattirsi in un manierismo ripetitivo, ma sforzandosi di dare sempre il meglio di sé, seppure in un ambito che non rappresentava certo il coronamento delle sue aspirazioni. Questa scelta di impegno si rivelò vincente e a, diciannove anni Pintér era già nell'Atelier di Stato, u na cooperativa di grafici impiegata nella realizzazione dei pannelli per le fiere e le esposizioni internazionali a cui presenziava l'Ungheria. Fu in questo periodo che egli prese confidenza con le grandi superfici, disegnando figure alte fino a quattro metri, come quelle realizzate per la Fiera dell'Agricoltura a Budapest. Il linguaggio grafico di Pintér era in linea con quanto esprimeva in quegli stessi anni un artista quale Gyórgy Konecsni, nella cui opera affiorava tutta la complessità dell'ambiente sociale e culturale ungherese e dove gli influssi sovietici si erano fusi con una originaria matrice mitteleuropea. Konecsni - che può essere ritenuto il primo e fondamentale riferimento di Ferenc Pintér, colui che negli anni di formazione ne ha orientato lo stile - aveva preso le distanze dalle influenze dei Bahuaus giunte dall'area germanica, rifiutando l'eccessiva rigidità e il grafismo geometrico di quella scuola, preferendo orientarsi verso un segno morbido, dalle linee leggere, dove le figure si caratterizzavano per una forte piasticità ed evidenziavano apporti di correnti diverse. Nelle sue opere, infatti, coesistono residui simbolisti e surrealisti e componenti che rimandano a influenze cubiste e novecentiste. Questa molteplice fusione di elementi si scorge anche nei lavori più maturi di Pintér, così come una certa ironia che affiora nei montaggi e nella stilizzazione delle figure, o la forza drammatica conferita alle immagini da scelte grafiche molto nette, dal segno tormentato, o dalla forza di alcuni decisi accostamenti cromatici. Per comprendere ciò da cui origina il lirismo di Pintér bisogna dunque considerare attentamente l'opera di Konecsni, anche se rispetto al maestro, l'allievo mostrerà con gli anni una maggior propensione alla stiiizzazione bidimensionale, allontanandosi da quelle volumetrie che appaiono come uno dei segni distintivi della grafica novecentista. Ma per cogliere appieno l'evoluzione deii'artista, non si può trascurare il clima generale che dominava in Ungheria nei primi anni Cinquanta. Rispetto all'italia, dove una cultura grafica specifica faceva fatica ad affermarsi e ad essere riconosciuta, l'Ungheria poteva vantare una valida e precisa tradizione di derivazione francese e tedesca. Tuttavia, negli anni dello stalinismo, ogni espressione artistica finiva per soggiacere ai canoni dei realismo socialista e la grafica risentiva in misura maggiore di questa situazione, proprio perché al diretto servizio della propaganda politica e culturale dei regime. La pubblicità commerciale, resa inutile da un sistema economico che rinnegava il profitto, era praticamente inesistente. Questo non significa, però, che non si producessero opere di rilievo, anzi, al contrario, proprio in quegli anni è dai paesi dell'est europeo che giungono alcune intuizioni e idee grafiche all'avanguardia, forse perché è proprio nei momenti di costrizione che gli artisti sono maggiormente portati a sviluppare delle soluzioni innovative che permettano di aggirare in qualche modo rigidi dettati dei potere. Specie nel manifesto murale, gli artisti ungheresi, polacchi e cecoslovacchi espressero opere di notevole forza, esercitando una non trascurabile influenza sulla grafica occidentale. Per Pintér fu certamente importante l'esempio dell'amico Zoltán, che non aveva una grande preparazione accademica, ma i cui manifesti si distinguevano e risaltavano per la forza dirompente e a volte geniale dell'idea che vi era alla base un po' come accadeva nelle illustrazioni pubblicitarie di Raymond Savignac), tanto che lo stesso Konecsni soleva dire, paragonando i suoi lavori a quelli dei collega: "I miei sono belli, i suoi sono buoni". Volendo individuare gli influssi e le tracce presenti nell'opera di Pintér, non si può trascurare la tradizione francese del manifesto postcubista, e in particolarmente l'opera di Cassandre (al secolo Adoiphe jean-Marie Mouron) probabilmente la figura di maggior spicco nella grafica pubblicitaria dei Novecento. La sua influenza ha permeato in qualche misura tutta l'arte grafica venuta dopo di lui, ma per Pintér l'opera dei maestro francese ha rappresentato quasi un inconscio modello di riferimento per quella sintesi simbolica che affiora in molte illustrazioni. I risultati a cui giunge Pintér sono in realtà molto differenti da quelli di Cassandre, ma in certi casi si coglie come un'identità di intenti. E' come se Pintér avesse assimilato l'idea centrale della grafica dei francese, secondo cui la visibilità dell'immagine viene determinata, prima ancora che dal contrasto di colori, da un preciso rapporto di valori in campo: la figura nel suo complesso diventa il veicolo dei pensiero dell'artista e, attraverso una sintesi armonica, provoca un'emozione in chi la guarda. Nel 1951 Pintér venne chiamato a svolgere il servizio militare e per due anni dovette abbandonare il lavoro. Riprese l'attività nel 1953 (l'anno della morte di Stalin), confrontandosi con l'ambiente piuttosto chiuso che a Budapest dominava nel campo della grafica. I principali incarichi, infatti, venivano assegnati da una giuria permanente, che in pratica aveva creato un circolo esclusivo al quale egli non aveva accesso. Il lavoro gli veniva principalmente dalla Camera di Commercio: illustrazioni per una rivista che reciamizzava i prodotti di esportazione e la realizzazione di grandi composizioni murarie in occasione della Fiera Industriale e Agricola. Nel 1955 partecipò anche alla seconda Mostra dei manifesto ungherese. Con lo scoppio della rivolta dei 1956, insieme all'ebrezza provocata dalla improvvisa ventata di libertà che si tornava a respirare in Ungheria, nacque nell'artista anche la consapevolezza di non essere più in grado di accettare la disillusione di un eventuale ritorno al potere dei comunisti: dopo quei giorni di speranza, infatti, sarebbe stato troppo gravoso riprendere a disegnare operai sorridenti e cimentarsi ancora coi bagaglio di retorica propagandistica di matrice sovietica. Pertanto, Pintér prese la decisione di lasciare il paese e, all'alba dei 24 novembre di quello stesso anno, espatriò attraversando un canale ghiacciato al confine con l'Austria. L' esperienza umana e artistica vissuta neii'era staiiniana lascerà tuttavia una traccia indelebile nel suo lavoro, affiorando particolarmente nei manifesti di carattere politico realizzati negli anni successivi (quelli in appoggio a Solidarnosc e alla dissidenza sovietica), dove traspaiono echi dell'iconografia socialista e anche della grafica costruttivista russa, ma il tutto filtrato da una sensibilità occidentale che finisce per ammantare di tragicità il risultato espressivo e fornisce una chiave di lettura più umana e dolorosa alla ieraticità delle figure. Arrivato in Italia, Pintér si stabilì a Firenze, dove vivevano gli zii, e conobbe l'architetto Spadolini, fratello dei noto uomo politico Repubblicano. Fu proprio lui a procurargli il contatto con la Radio Marelli, per la quale realizzò una decorazione di 80 mq. per il padiglione della Fiera di Milano dei 1957. L' anno dopo dipinse un altro pannello, altrettanto grande, per lo stand dei Monopolio Tabacchi. Per questo tipo di lavori, però, in Italia non c'era molta richiesta, così, all'inizio degli anni Sessanta, Pintér si presentò alla Mondadori e venne assunto al Servizio Grafico Editoriale diretto daanita Klinz.

Grazie al lavoro svolto per trentadue anni presso la casa editrice di Segrate, Pintér non ha soltanto contribuito in maniera determinante a rinnovare la grafica editoriale nel nostro paese, ma ha arricchito enormemente il bagaglio visivo dei lettori italiani, favorendo non poco la loro crescita culturale ed estetica. Ogni sua copertina è una sintesi grafica dove non mancano rimandi sempre pertinenti e illuminanti a un particolare clima culturale e artistico: si va dall'arte elienica dell'inedita lliade (1969), alla Pop Art di Maigret a NewYork (1972); dalla citazione di Milton Giaser in Il giustiziere della notte (1975), alla grafica tedesca dei periodo nazista in Ama il prossimo tuo (1968); ma gli esempi, in una produzione tanto imponente, potrebbero essere moltissimi. Non vanno trascurati neppure gli espliciti richiami alle versioni cinematografiche dei romanzi, come accade nelle copertina de I cannoni di Navarone (1970), de Il maestro di Vigevano (1969) e in altre. C'è da dire che un certo dialogismo intertestuale è presente in molte copertine e particolarmente in quelle delle avventure poliziesche di Maigret e di Nero Wolfedove il disegnatore utilizza l'immagine di Cervi e Buazzelli, i popolari attori interpreti degli sceneggiati televisivi della PAI, come un vero e proprio elemento comunicativo, che da un lato crea l'immediato richiamo a un'immagine conosciuta ed amata, ma al contempo ne dà una interpretazione nuova, allargandone i confini oltre quelli già esplorati dallo spettatore televisivo. Così, certe varianti nelle pose e nell'abbigliamento dei personaggi, certe allusioni ironiche, o altre nelle quali si può scorgere una venatura erotica e sensuale, finiscono per costituire la promessa che nel libro vi sia qualcosa di più
Due copertine degli Omnibus Gialli Mondadori.
Tra i lavori per la Mondadori, un posto a parte occupano le sovracopertine realizzate per i volumi della collana Omnibus, nelle quali si può trovare traccia dell'impostazione compositiva dei grandi pannelli decorativi. Si tratta di collages di immagini, a volte accostate seguendo un percorso grafico appena accennato, altre volte in un aperto contrasto di raffigurazioni, che condensano il contenuto dei libro o cercano di suggerirne il clima e l'argomento, ispirandosi ad alcune particolari situazioni narrative.Anche in questi lavori, dunque, emerge quello che appare come l'intento a cui sembra ispirarsi tutta l'attività di Pintér quale copertinista, ovvero la costante ricerca, attraverso l'arte grafica, di esprimere al meglio la tensione emotiva dei testo letterario con cui di volta in volta si trova a cimentarsi.
In una produzione sconfinata, dove gli influssi assimilati sono tanti, così come gli espedienti espressivi utilizzati, volendo cercare il marchio distintivo dell'artista, verrebbe da dire che egli è maestro nel rendere semplice la complessità: la sua sensibilità figurativa gli consente di creare immagini che riescono a mettere in rapporto sentimenti opposti; la sua formazione legata alla passione per la cartelionistica, gli permette di fondere abilmente l'elemento illustrativo con quello testuale, a volte con intuizioni geniali sul piano comunicativo; la sua competenza grafica fa sì che nei suoi lavori' i più diversi elementi compositivi si integrino sempre al meglio.
Ecco perché Ferenc Pintér è una figura imprescindibile e di primo piano nell'arte grafica della nostra epoca.
Bepi Vigna