Il lungo viaggio nella grafica di Ferenc Pintér -1991
18/10/08 14:38 Filed in: Interviste
Una lunga intervista a Ferenc Pintér, raccolta da Ettore Maiotti, pubblicata in “Grafica” Fratelli Fabbri Editori, Milano 1991
Intervista di Ettore Maiotti
Fuoriuscito nel 1956 dal suo paese, l'Ungheria, Pintér attualmente realizza per conto di una grande casa editrice milanese, la Mondadori, copertine per libri di varie collane. Ma, parlando di lui, non va trascurato il suo impegno nella grafica dei manifesti, in particolare di quelli a tema pacifista, in cui la rappresentazione del corpo umano si leva contro la violenza e la guerra. A Ferenc Pintér ho posto una serie di domande.
Manifesti politici, 1984 -1991
Come ha cominciato, quali scuole ha frequentato in Ungheria?
Dopo la scuola media decisi di frequentare il liceo artistico. Allora nel mio paese d'origine non potevi scegliere una specializzazione in particolare. Erano "loro" che decidevano per te. Così mi ritrovai a studiare la pittura murale, una sorta di pittura decorativa. Imparavamo a eseguire una serie di modanature architettoniche dipinte. Ricordo la prima ombra, la seconda ombra, che dovevano essere eseguite a regola d'arte rispettando con precisione i vari passaggi.
Ci veniva consegnata la sezione dell'oggetto da eseguire e noi dovevamo dipingerla frontalmente: finti marmi, finti legni che una volta realizzati sembravano veri, per intenderci la vera decorazione murale. In occasione di particolari ricorrenze o delle feste nazionali a tutte le sezioni della scuola veniva richiesto un manifesto. Non solo a chi si occupava di grafica ma anche a coloro che disegnavano tessuti o pelli o studiavano fotografia. La scuola veniva letteralmente tappezzata da questi manifesti che sembravano stampati.
Tre manifesti realizzati in Ungheria e pubblicati nel Gebrausgraphic 1956, la prima pubblicazione internazionale di Pintér
Nel 1948 si inaugurò a Budapest la Mostra del Manifesto, al Salone Nazionale. La nostra scuola aveva organizzato una visita guidata. Per me si trattò di una vera e propria folgorazione. Avevo 18 anni. Da allora molto tempo è passato. In un certo senso le cose imparate a scuola le ho dimenticate o, meglio, si sono depurate.
E nella grafica come ha cominciato?
Nel peggiore dei modi. Cioè eseguendo dehe decorazioni a basso costo per le vetrine dei negozi. Nei paesi socialisti infattiè usanza esporre in tutti i negozi una specie di pannello inneggiante al progresso,o ai vari piani 'quinquennali, o alla ricorrenza della Liberazione. Naturalmenteavevo poca libertà di esecuzione. Magarimi toccava disegnare venti teste tutteuguali e certamente poco creative. Solomolto più tardi sono arrivato a poter affermare alcuni principi miei.
Quanti anni aveva quando lasciò l’ Ungheria?
Venticinque anni. Era esattamente il novembre del 1956, un mese dopo la rivoluzione. Arrivato in Italia mi stabilii a Firenze dove vivevano i miei zii. Devo a lorouna grande solidarietà e soprattutto il fatto di avermi presentato all'architetto Spadolini. I miei disegni gli piacquero molto.Fu cosi che decise di portarmi con lui a Milano, introducendomi alla Radio Marellidove lavorava come consulente per il design. Successivamente mi presentai allaMondadori per avere una collaborazione.Lì, al contrario, mi offrirono un posto fisso.Accettai. Era il 1960.
Campagna Pubblicitaria per Facis, Agenzia CPV, 1962
Io so che lei è stato l'illustratore della campagna pubblicitaria della Facis. L’ idea fu sua?
Si. Un'agenzia e precisamente la C.P.V.(l'art director si chiamava Vernice), mi contattò per questo progetto.
Vuole raccontarmi ancora qualcosa della sua vita in Ungheria?
Si, volentieri. Non frequentai l'Accademia.Diciamo che non venni accettato. In compenso entrai a far parte di una cooperativa statale di grafici che aveva ottime opportunità di lavoro. Ricordo il padiglioneungherese allestito a San Paolo del Brasile. Le pareti erano ovviamente figurative, icolori pastellosi. Fu per questo lavoro cheimparai ad avere dimestichezza con legrandi superfici. Arrivammo infatti a disegnare e poi dipingere figure alte anchequattro metri. Ma non dobbiamo pensare a un realismo socialista alla sovietica. In quegli anni si faceva della grafica. Il linguaggio era grafico, molto levigato: nellostile del Bauhaus, per essere più chiari. Miè capitato di vedere una serie di manifestirussi, non ancora sovietici, quindi eseguitiai tempi degli zar. Sono manifesti di grande sintesi e bellezza. E’ sorprendente notare come alcune cose siano state letteralmente anticipate dall'avanguardia russa.In Italia, nel 1957, eseguii la decorazioneper il padiglione della Radio Marelli. Sitrattava di circa ottanta metri quadrati,con un anello interno di quaranta metriquadrati. Ricordo che fecero anche un filmato di questa costruzione, che proiettarono poi alla Federazione Grafica d'Ungheria. Fui molto soddisfatto di quest'aggancio. La possibilità di mostrare in quella nazione immersa nel realismo socialistaqualcosa del genere suscitò grande entusiaismo.
Così, infatti, mi riferirono successivamente. L’anno dopo eseguii un altro pannello per il Monopolio dei Tabacchi. Le dimensioni erano sempre notevoli e riempite da figure umane. Era il 1958. Dal 1960 incominciai a lavorare sul piccolo formato. Per la Mondadori collaborai con l’illustrazione di alcune collane di libri. Non so se ricorda la collana “Gli Omnibus”. Forse già per quegli anni il taglio grafico era un po’ superato; l’idea di far emergere una figura e la fascia illustrata costituivano un'impostazione non nuova.
Illustrazione per copertina: Stark, da Parker con furore, Omnibus Gialli, 1987
La collana nella quale mi riconosco di più è invece iniziata quindici anni fa con ildottor Spagnol ed è attuale ancora oggi.Si trattci dell"'Omnibus Giallo". Questacollana venne addirittura presentata sullarivista "Novum Gebrauchsgraphik" nell'ambito di un numero speciale sul libro inItalia. Erano presenti le maggiori caseeditrici italiaine: dalla Feltrinelli a FrancoMciria Ricci, alla stessa Mondadori, a Rizzoli. L'altra collana che amo molto è quella dei "Saggi".
Lei come lavora?
Quasi esclusivamente a tempera. Mi capita anche di usare la china qualche volta.
Per il quotidiano "Il Messaggero" di Romaho illustrato con una sessantina di disegniun racconto russo. I disegni ebbero un effetto interessante, ottenuto quasi casualmente usando un pennello un po' leggeroe l'inchiostro di china che dava un effettograffiato. Pilotai poi questo effetto casualein modo più cosciente.
Il taglio dei suoi lavori ricorda quasí un'inquadratura cinematografica. E’ d'accordo?
Mah... cerco sempre di interpretare l'immagine e di renderla più interessante, così a volte mi riesce dinamica.
Quando deve progettare le copertine diuna collana riesce a leggere i testi dall'inizio alla fine o si accontenta semplícemente di un brief?
Dipende molto anche dall'autore. In certicasi leggo volutamente tutto il testo proprio per trovare soluzioni adeguate, per riuscire a capire quale parte del raccontopoter utilizzare. Magari uno scorcio o ladescrizione di una strada nello svolgersidel romanzo o del racconto sono importanti per suggerire un'idea concreta e traducibile in immagine.
Lei quindi è, contemporaneamente, illustratore e grafico. So che alcuni manifestirealízzati da lei (e purtroppo poco conoscíutí in Italia) sono conservati nel Museodel Manifesto in Danímarca, in Germaniae anche in Ameríca, nella Libreria del Senato di Washíngton.
Sì. E la cosa mi rende felice.
Generalmente parte da un fondo colorato e poi costruisce il tutto?
Sì. Alcuni lavori, in particolare, sono dipinti su carta metallizzata. Sotto strofinodell'amido di patata cruda: l'amido mi serve da legante e fa in modo che il colorenon si screpoli.
Nell'esecuzione è rapido o preferisce tempí lunghi?
Col passare del tempo sono diventato più spontaneo per quanto riguarda il disegno,dopo però aver studiato e ottenuto una composizione solida come si può vedere nel manifesto concepito per la "glasnost".
Fuoriuscito nel 1956 dal suo paese, l'Ungheria, Pintér attualmente realizza per conto di una grande casa editrice milanese, la Mondadori, copertine per libri di varie collane. Ma, parlando di lui, non va trascurato il suo impegno nella grafica dei manifesti, in particolare di quelli a tema pacifista, in cui la rappresentazione del corpo umano si leva contro la violenza e la guerra. A Ferenc Pintér ho posto una serie di domande.
Manifesti politici, 1984 -1991
Come ha cominciato, quali scuole ha frequentato in Ungheria?
Dopo la scuola media decisi di frequentare il liceo artistico. Allora nel mio paese d'origine non potevi scegliere una specializzazione in particolare. Erano "loro" che decidevano per te. Così mi ritrovai a studiare la pittura murale, una sorta di pittura decorativa. Imparavamo a eseguire una serie di modanature architettoniche dipinte. Ricordo la prima ombra, la seconda ombra, che dovevano essere eseguite a regola d'arte rispettando con precisione i vari passaggi.
Ci veniva consegnata la sezione dell'oggetto da eseguire e noi dovevamo dipingerla frontalmente: finti marmi, finti legni che una volta realizzati sembravano veri, per intenderci la vera decorazione murale. In occasione di particolari ricorrenze o delle feste nazionali a tutte le sezioni della scuola veniva richiesto un manifesto. Non solo a chi si occupava di grafica ma anche a coloro che disegnavano tessuti o pelli o studiavano fotografia. La scuola veniva letteralmente tappezzata da questi manifesti che sembravano stampati.
Tre manifesti realizzati in Ungheria e pubblicati nel Gebrausgraphic 1956, la prima pubblicazione internazionale di Pintér
Nel 1948 si inaugurò a Budapest la Mostra del Manifesto, al Salone Nazionale. La nostra scuola aveva organizzato una visita guidata. Per me si trattò di una vera e propria folgorazione. Avevo 18 anni. Da allora molto tempo è passato. In un certo senso le cose imparate a scuola le ho dimenticate o, meglio, si sono depurate.
E nella grafica come ha cominciato?
Nel peggiore dei modi. Cioè eseguendo dehe decorazioni a basso costo per le vetrine dei negozi. Nei paesi socialisti infattiè usanza esporre in tutti i negozi una specie di pannello inneggiante al progresso,o ai vari piani 'quinquennali, o alla ricorrenza della Liberazione. Naturalmenteavevo poca libertà di esecuzione. Magarimi toccava disegnare venti teste tutteuguali e certamente poco creative. Solomolto più tardi sono arrivato a poter affermare alcuni principi miei.
Quanti anni aveva quando lasciò l’ Ungheria?
Venticinque anni. Era esattamente il novembre del 1956, un mese dopo la rivoluzione. Arrivato in Italia mi stabilii a Firenze dove vivevano i miei zii. Devo a lorouna grande solidarietà e soprattutto il fatto di avermi presentato all'architetto Spadolini. I miei disegni gli piacquero molto.Fu cosi che decise di portarmi con lui a Milano, introducendomi alla Radio Marellidove lavorava come consulente per il design. Successivamente mi presentai allaMondadori per avere una collaborazione.Lì, al contrario, mi offrirono un posto fisso.Accettai. Era il 1960.
Campagna Pubblicitaria per Facis, Agenzia CPV, 1962
Io so che lei è stato l'illustratore della campagna pubblicitaria della Facis. L’ idea fu sua?
Si. Un'agenzia e precisamente la C.P.V.(l'art director si chiamava Vernice), mi contattò per questo progetto.
Vuole raccontarmi ancora qualcosa della sua vita in Ungheria?
Si, volentieri. Non frequentai l'Accademia.Diciamo che non venni accettato. In compenso entrai a far parte di una cooperativa statale di grafici che aveva ottime opportunità di lavoro. Ricordo il padiglioneungherese allestito a San Paolo del Brasile. Le pareti erano ovviamente figurative, icolori pastellosi. Fu per questo lavoro cheimparai ad avere dimestichezza con legrandi superfici. Arrivammo infatti a disegnare e poi dipingere figure alte anchequattro metri. Ma non dobbiamo pensare a un realismo socialista alla sovietica. In quegli anni si faceva della grafica. Il linguaggio era grafico, molto levigato: nellostile del Bauhaus, per essere più chiari. Miè capitato di vedere una serie di manifestirussi, non ancora sovietici, quindi eseguitiai tempi degli zar. Sono manifesti di grande sintesi e bellezza. E’ sorprendente notare come alcune cose siano state letteralmente anticipate dall'avanguardia russa.In Italia, nel 1957, eseguii la decorazioneper il padiglione della Radio Marelli. Sitrattava di circa ottanta metri quadrati,con un anello interno di quaranta metriquadrati. Ricordo che fecero anche un filmato di questa costruzione, che proiettarono poi alla Federazione Grafica d'Ungheria. Fui molto soddisfatto di quest'aggancio. La possibilità di mostrare in quella nazione immersa nel realismo socialistaqualcosa del genere suscitò grande entusiaismo.
Così, infatti, mi riferirono successivamente. L’anno dopo eseguii un altro pannello per il Monopolio dei Tabacchi. Le dimensioni erano sempre notevoli e riempite da figure umane. Era il 1958. Dal 1960 incominciai a lavorare sul piccolo formato. Per la Mondadori collaborai con l’illustrazione di alcune collane di libri. Non so se ricorda la collana “Gli Omnibus”. Forse già per quegli anni il taglio grafico era un po’ superato; l’idea di far emergere una figura e la fascia illustrata costituivano un'impostazione non nuova.
Illustrazione per copertina: Stark, da Parker con furore, Omnibus Gialli, 1987
La collana nella quale mi riconosco di più è invece iniziata quindici anni fa con ildottor Spagnol ed è attuale ancora oggi.Si trattci dell"'Omnibus Giallo". Questacollana venne addirittura presentata sullarivista "Novum Gebrauchsgraphik" nell'ambito di un numero speciale sul libro inItalia. Erano presenti le maggiori caseeditrici italiaine: dalla Feltrinelli a FrancoMciria Ricci, alla stessa Mondadori, a Rizzoli. L'altra collana che amo molto è quella dei "Saggi".
Lei come lavora?
Quasi esclusivamente a tempera. Mi capita anche di usare la china qualche volta.
Per il quotidiano "Il Messaggero" di Romaho illustrato con una sessantina di disegniun racconto russo. I disegni ebbero un effetto interessante, ottenuto quasi casualmente usando un pennello un po' leggeroe l'inchiostro di china che dava un effettograffiato. Pilotai poi questo effetto casualein modo più cosciente.
Il taglio dei suoi lavori ricorda quasí un'inquadratura cinematografica. E’ d'accordo?
Mah... cerco sempre di interpretare l'immagine e di renderla più interessante, così a volte mi riesce dinamica.
Quando deve progettare le copertine diuna collana riesce a leggere i testi dall'inizio alla fine o si accontenta semplícemente di un brief?
Dipende molto anche dall'autore. In certicasi leggo volutamente tutto il testo proprio per trovare soluzioni adeguate, per riuscire a capire quale parte del raccontopoter utilizzare. Magari uno scorcio o ladescrizione di una strada nello svolgersidel romanzo o del racconto sono importanti per suggerire un'idea concreta e traducibile in immagine.
Lei quindi è, contemporaneamente, illustratore e grafico. So che alcuni manifestirealízzati da lei (e purtroppo poco conoscíutí in Italia) sono conservati nel Museodel Manifesto in Danímarca, in Germaniae anche in Ameríca, nella Libreria del Senato di Washíngton.
Sì. E la cosa mi rende felice.
Generalmente parte da un fondo colorato e poi costruisce il tutto?
Sì. Alcuni lavori, in particolare, sono dipinti su carta metallizzata. Sotto strofinodell'amido di patata cruda: l'amido mi serve da legante e fa in modo che il colorenon si screpoli.
Nell'esecuzione è rapido o preferisce tempí lunghi?
Col passare del tempo sono diventato più spontaneo per quanto riguarda il disegno,dopo però aver studiato e ottenuto una composizione solida come si può vedere nel manifesto concepito per la "glasnost".